DEFINIZIONE
La ricerca scientifica internazionale sulla psicopatologia del gioco d’azzardo, ha trattato principalmente due condizioni di rilevanza clinica: il gioco d’azzardo patologico (gap) e il gioco d’azzardo problematico.
Il primo termine definisce una precisa malattia mentale, prevalentemente identificata, nel panorama specialistico dell’ultimo decennio, attraverso i criteri nosografici del dsm-iv (American Psychiatric Association, 1994) e dell’icd-10 (World Health Organization, 1992), e inserita, nei testi citati, all’interno della categoria dei “Disturbi del Controllo degli Impulsi”.
La quinta edizione del Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (dsm-5; American Psychiatric Association, 2013), sostituisce l’espressione “gioco d’azzardo patologico” con “disturbo da gioco d’azzardo” (Gambling Disorder, gd) e sposta la sua collocazione dalla classe “Disturbi del Controllo degli Impulsi Non Classificati Altrove” a quella “Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction”, sulla base di somiglianze di tipo fenomenologico (craving) e comportamentale (compulsività), oltre che per la comune attivazione dei sistemi neurologici associati alla ricompensa e alla gratificazione.
L’attuale diagnosi di disturbo da gioco d’azzardo, secondo il dsm-5, richiede la presenza di “comportamento problematico persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo, che porta a disagio o compromissione clinicamente significativi” (American Psychiatric Association, 2014, p. 681), come evidenziato dalla presenza di almeno quattro criteri, tra i nove elencati, all’interno del medesimo anno:
- il soggetto avverte la necessità di investire nel gioco d’azzardo quantità sempre maggiori di denaro per ottenere l’eccitazione desiderata;
- diventa nervoso e irritabile quando s’impegna a ridimensionare la condotta problematica;
- fallisce ripetutamente nel tentativo di controllare il comportamento di gioco;
- dedica al gioco una parte rilevante delle proprie risorse cognitive (ad esempio, pensa continuamente ai possibili mezzi e strategie per vincere);
- utilizza il gioco d’azzardo per controllare le emozioni negative (come ansia, vulnerabilità, insoddisfazione);
- tenta ripetutamente di recuperare il denaro in caso di perdita (fenomeno della rincorsa alle perdite);
- mente circa l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco;
- mette a rischio o compromette differenti ambiti di vita (familiare, relazionale e/o professionale) a causa della propria dedizione alle attività legate al gioco;
- fa affidamento sugli altri per procurarsi il denaro necessario a risanare le sue perdite.
Ai fini diagnostici, il comportamento di gioco patologico non deve presentarsi nel corso di un episodio maniacale, caso in cui le direttive nosografiche prevedono l’inquadramento all’interno del disturbo bipolare di tipo I.
Il dsm-5 consente di distinguere forme lievi del disturbo (definite dalla presenza di 4 o 5 tra i criteri previsti), moderate (soggetti che esprimono 6 o 7 dei sintomi elencati) o gravi (in cui 8 o 9 criteri risultano soddisfatti).
Sono inoltre previsti gli specificatori persistente/episodico (a seconda che il disturbo si manifesti in modo continuo, per svariati anni, oppure no) e in remissione precoce/in remissione protratta (qualora, dopo una precedente diagnosi, siano assenti tutti i sintomi richiesti, da almeno 3 mesi, ma meno di 12, oppure da un anno o più).
Rispetto alla precedente edizione del dsm, quella attuale ha eliminato il criterio che richiedeva la presenza di condotte illegali (ad esempio, frode e furto) finalizzate al finanziamento del gioco d’azzardo, poiché la prevalenza di questi comportamenti all’interno della popolazione clinica in oggetto non è risultata significativa ai fini diagnostici. Il dsm-5 introduce un parametro temporale ben definito, di 12 mesi, per la rilevazione degli elementi sintomatologici indicati, limite che consente di differenziare con maggiore facilità i soggetti in remissione.
L’icd-10, a differenza del dsm-5, vincola la diagnosi di disturbo da gioco d’azzardo all’accertamento di tutti i sintomi indicati (i criteri sono monotetici), ed esclude la possibilità di effettuare diagnosi parallela di disturbo antisociale di personalità, attraverso l’applicazione di una gerarchia diagnostica in cui la seconda patologia, in qualche modo, include la prima. Entrambi i manuali richiedono la presenza di una significativa compromissione del funzionamento professionale, familiare o sociale come conseguenza della condotta disfunzionale.
Con l’espressione gioco d’azzardo problematico, all’interno della letteratura scientifica internazionale, si fa invece riferimento a un ampio spettro di condizioni, che spaziano da casi conclamati o gravi, per i quali sarebbe applicabile la diagnosi nosografica, a livelli subclinici di patologia. Questo secondo significato presenta maggiore diffusione nei testi specialistici e sarà quello utilizzato all’interno del presente elaborato.
L’individuazione e il trattamento dei giocatori problematici (livello 2 di Shaffer, 1997) può essere di grande rilevanza clinica, poiché una parte di questo tipo di utenza evolve nella direzione del disturbo conclamato e l’eventuale avvio di una terapia in questa fase ha registrato risposte ottimali.
Il passaggio da una fruizione di tipo sociale a modalità problematiche di gioco, fino al disturbo nosograficamente definito, è generalmente lento e insidioso. Diversi livelli di gravità sono associati a differenti tipi di decorso, con problemi di disadattamento maggiori nei casi più severi (Hodgins, Stea & Grant, 2011).